
COVID-19: Una nuova normalità fuori dalla capanna.
A cura della dott.ssa Paola del Giorgio, psicologa della Clinica Santa Croce.
Con il lockdown abbiamo visto il mondo esterno, i luoghi nei quali trascorrevamo le nostre giornate, improvvisamente limitarsi alle nostre case, a discapito della scomparsa dello spazio sociale e pubblico sia per chi è professionalmente attivo ma anche per i più giovani, che ancora stanno costruendo la loro formazione.
Tutto questo ha inevitabilmente avuto un impatto significativo sul benessere psicologico ed emotivo della popolazione. L’emergenza Covid ha portato alla luce disagi che agivano sottotraccia, determinando l’acuirsi di criticità già presenti, in particolare in soggetti che presentavano già delle fragilità di tipo psicologico e vivevano relazioni disfunzionali.
Accanto a queste situazioni “acute”, c’è poi la dimensione che investe la popolazione nel suo complesso: un sentimento generale di disorientamento, che forse deriva anche da questa incertezza sulla possibilità o meno di tornare a una presunta precedente normalità, e dalla fatica relativa al cambiamento.
Ma cosa accadrà quando sarà “passata la tempesta”’? E’ possibile che sarà arduo abbattere muri e barriere, che si farà fatica a riprendere la fisicità dei contatti. Saremo, forse, tutti più portati a stabilire confini da non superare?
È verosimile ipotizzare che, in alcuni casi, il desiderio di stare insieme, a contatto, potrebbe non annullare i problemi, né la paura di tornare ad avvicinarsi agli altri e che, dal punto di vista psicopatologico, si assista ad un aggravio di forme ossessive-compulsive rispetto alla pulizia della casa e alla disinfezione. Il timore di poter contrarre malattie potrebbe continuare ad accompagnare la nostra vita.
C’è chi parla della possibilità di sviluppare quella che viene definita la “sindrome della capanna”, che rappresenterebbe un contraccolpo psicologico dell’esperienza della pandemia e si configurerebbe come la paura di uscire e lasciare la propria casa, il luogo che per mesi ha garantito sicurezza e riparo da qualsiasi pericoloso agente esterno.
I sintomi che la caratterizzano riguardano sentimenti di ansia, paura e frustrazione, ma anche disturbi del sonno, depressione e irritabilità. La perpetuata tendenza a isolarsi e “rinchiudersi” si assocerebbe al timore di ammalarsi o di contagiare i propri cari ma anche alla convinzione che, nel riaffacciarsi al mondo, si possa non riconoscerlo come “quello di prima”.
Gli individui più esposti a sviluppare questo quadro sindromico, tipicamente, non godono di buone capacità di adattamento ai cambiamenti, sono maggiormente inclini allo sviluppo di ansia o ipocondria, o soffrivano in precedenza di fobie e altri disturbi psichiatrici.
Inoltre, gli effetti del coronavirus sull’economia e le incertezze professionali che ne sono derivate, hanno intaccato anche le sicurezze di moltissime persone che, pur di non far ritorno ad una realtà più difficile da affrontare, ha preferito propendere per una permanenza sicura tra le mura di casa propria. Per affrontare quanto stiamo vivendo e quello che vivremo, sarà opportuno ripensare le nostre paure e preoccupazioni, ma anche gli spazi, il modo di lavorare e di affrontare il quotidiano.
Quando la paura è “eccessiva”, le capacità di razionalizzare e mentalizzare il reale pericolo sono sopraffatte da una sorta di ‘bugia’ mentale che paralizza il senso critico, soprattutto se la minaccia, come in questo caso, è invisibile e talora sovra-esposta dal punto di vista mediatico.
Per calarsi nuovamente nella quotidianità ritrovata è, e sarà importante, adottare un adeguato stile comportamentale, favorito da una strutturazione della quotidianità in termini spazio-temporali, e dal mantenimento di un appropriato ritmo sonno-veglia. Al di là delle nostre paure e preoccupazioni, dopo aver trascorso mesi di sconvolgimento nella nostra vita personale e professionale, nel corso dei quali siamo anche stati confrontati con esperienze di lutto e malattia, desideriamo poter tornare a un qualche tipo di normalità.
Sarà una “nuova normalità”? Dovremo uscire sì dalla capanna, ma consapevoli che questo è possibile con una visione diversa, cambiata, integrata e con una nuova conoscenza di sé e del mondo.
Il contesto in cui ci siamo calati nel corso dell’ultimo anno, e che ancora ci riguarda, è caratterizzato da complessità, confusione e crisi. Questo inevitabilmente presuppone il configurarsi, in futuro, di una “nuova realtà”, che implica la necessità di incorrere in una trasformazione, non soltanto in un cambiamento. Se in quest’ultimo, infatti, è la situazione a “cambiare”, nella trasformazione cambiamo noi. Se questo processo evolutivo di ri-adattamento risultasse affaticato da una situazione di sovraccarico emotivo o dalla comparsa di sintomi psicopatologici come quelli descritti in precedenza, sarebbe opportuno valutare l’ipotesi di richiedere un adeguato supporto psicologico o psichiatrico, che si configuri come uno spazio per la narrazione dei propri (“nuovi”) bisogni e di quelli dei propri riferimenti affettivi e che sia in grado di favorire l’evoluzione di sentimenti di incertezza e preoccupazione verso dimensioni in cui è possibile ri-sintonizzarsi con le proprie risorse.
