Socialità ai tempi del COVID-19: la transizione digitale.

Del dott. V. Camela, medico assistente in formazione FMH, in collaborazione con la dott.ssa C. Nespeca, vice-primario della Clinica Santa Croce

In questo periodo difficile in cui lotta e resistenza alla pandemia impregnano la nostra quotidianità, vorremmo aprire un canale di riflessione specificatamente orientato al modo in cui spesso oggi ci troviamo a incontrare le altre persone, l’Altro. La pandemia ci ha costretti a modificare gran parte delle nostre vite, in primis il nostro modo di vivere la socialità, anche se questa tendenza verso il cambiamento è da rintracciare ben prima dell’avvento del COVID-19.

Dal 2004, con il lancio del social network per antonomasia Facebook, i social network hanno veicolato modi diversi di essere in rapporto con la nostra vita, l’hanno resa “online” un pezzo alla volta e, in tal modo, essa è sempre più sotto lo sguardo e l’occhio, nostro e degli altri.

Il processo in atto, e l’impennata contributiva della pandemia, sembrano transitare la società moderna verso una sorta di era del “2D”, con software volti a proiettarci attraverso i pixel, a far sentire la nostra voce vibrare attraverso altoparlanti e, in sostanza, a inondarci di informazioni visivo-uditive a scapito di informazioni corporee. Uno “squilibrio sensoriale”?

Normalmente le informazioni visive si presentano ogni volta che incontriamo un nostro simile ma l’integrazione con le altre percezioni e sensazioni che provengono dall’Altro in presenza, dal calore del suo respiro e dalla sua corporeità, ne attenua la potenza. In questo nuovo modo di incontrarsi, invece, dentro quello schermo nero dove improvvisamente si palesano i colori della vita di un Altro, primeggiano la vista e l’udito. Questi ultimi sono, tra i nostri sensi, quelli filogeneticamente più sviluppati, il punto di arrivo dell’evoluzione ma anche quelli che più ci allontanano dalla presenza dell’Altro. Pensate ai sogni, in essi noi vediamo e sentiamo cose e persone ma non le tocchiamo, anzi, spesso toccare, essere toccati o la sensazione di cadere ci fanno svegliare di soprassalto.

Inoltre, il fatto che la presenza dell’Altro si smaterializzi, evapori e si trasformi in una mera proiezione grafica non è solo qualcosa che inerisce alla freddezza di input e output che corrono su reti di metallo, ma è anche il transitare da un distacco che normalmente avviene con la lentezza e la gradualità caratteristiche della presenza fisica, un allontanamento lento e progressivo dall’Altro che ci dà il tempo di abituarci alla sua assenza, a un distacco istantaneo con un meccanismo on/off, 0-1, tipico del funzionamento di un computer. Viene da chiedersi quindi quanto uno “strappo” così netto ci faccia percepire un vuoto della presenza dell’Altro a cui non siamo avvezzi. È come se venissero meno sfumature e dissolvenze, e tutto si riducesse a un click che trascina via quel volto in un istante lasciandoci di colpo soli a scrutare il vuoto che ci circonda.

In questo senso potremmo chiederci quanto una persona online sia realmente presente, se essa esista davvero in quel momento. Da una canzone dei Placebo (“Too many friends”):

I got too many friends
Too many people that I’ll never meet
And I’ll never be there for
‘Cause I’ll never be there

La canzone è un’aspra critica verso il mondo dei social network ma si adatta anche alla nostra trattazione perché, è vero ora come ora, abbiamo troppi amici, troppe persone che non incontreremo mai, delle quali manca la presenza fisica nel palcoscenico della nostra vita e per le quali non siamo davvero lì, per le quali non siamo davvero di sostegno.

La riflessione finora esposta non vuole essere previsione di scenari apocalittici, quanto nutrire un terreno di consapevolezza che è tassello fondamentale per non perdere la “bussola”.

Questa transizione a una presenza “più digitalizzata”, attualmente anche in parte obbligata da un mondo sotto assedio di un nemico invisibile, è forse un nuovo stadio evolutivo dell’umana presenza: processi di adattamento squisitamente umani attivano nuovi modi di dare corpo all’incontro con le altre persone. Pensiamo al ruolo che la voce dell’Altro ha acquisito nel nostro attuale modo di comunicare. È certo, infatti, che questi nuovi mezzi abbiano permesso alla nostra voce e alle sue caleidoscopiche sfumature non tanto una maggiore importanza quanto un’insperata centralità. La voce, attraverso le sue peculiarità e seppur digitalizzata, in qualche modo si fa corpo e ci restituisce attraverso le sue vibrazioni, un senso di presenza e di vicinanza.

Dall’altra parte, questi cambiamenti devono anche sollecitare un richiamo attivo, in virtu’ del compito umano, e quindi nostro, di preservare una “vera” presenza e un autentico sentirci in contatto con noi stessi e con le altre persone. Questo vuol dire, pur anche attraverso uno schermo, allenare i nostri sensi, non perderci unicamente nella vista, riempire lo sguardo e vedere con intensità, ascoltare, risuonare con le parole, accogliere le sensazioni corporee, lasciarsi impressionare e toccare dalle emozioni, sentire l’atmosfera che avvolge l’incontro con un’altra persona. Coltiviamo il desiderio di essere davvero “presenti” e ridare corpo all’incontro, esperienza sempre unica e sorprendente.

Valerio Camela

Medico Assistente in Formazione FMH della Clinica S. Croce

Claudia Nespeca

Vice Primario della Clinica S. Croce

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